La vita ricomincia. Storia vera di Elvia Grazi

Ho preparato la valigia e adesso sto qui, davanti alla finestra, a guardare il cielo che scolora, lentamente. Viene buio tardi, del resto è Giugno. Un tempo questo era il mio mese preferito, l’inizio dell’estate. Quando ero giovane si tirava tardi la sera tra scherzi e risa. Certo non pensavamo alle ferie, al mare e ai viaggi, allora non era di moda, soltanto ci piaceva la stagione calda perché le ragazze, andando in bicicletta, scoprivano le gambe e noi si restava a sognare. Adesso tutto questo fa sorridere, basta accendere la televisione e si vede molto più che due gambe, non c’è più spazio nemmeno per l’immaginazione! Erano tempi difficili quelli della mia gioventù, di gran fermento. Si sentiva nell’aria che qualcosa stava per succedere, anche nel nostro paese, quattro case e una chiesa sperdute nelle campagne del mantovano. C’erano le ronde, era proibito ritrovarsi anche solo per chiacchierare, se non s’indossava la camicia nera. La guerra del resto era vicina, ci colse all’improvviso. Partii ed ero poco più che un ragazzo, quando feci ritorno non lo ero già più, ci sono cose che fanno crescere in fretta, che cancellano i sogni e le illusioni, non le ho più dimenticate. Ma non voglio ritornare a quei giorni tant’è che anche quando la televisione trasmette le immagini di un paese in guerra, giro canale. Mio figlio adora il telegiornale, vuole essere informato anche sulle notizie dell’ultima ora, forse ha ragione ma la mia filosofia è differente, col tempo ho imparato che non c’è mai niente di nuovo, le vittime dei vari massacri, coperte di sangue, non differiscono da quelle che ho visto in Russia, allora preferisco distogliere lo sguardo. Faccio la tartaruga, mi ritrovo nei ricordi, forse è così per tutti i vecchi. Ad esempio, se chiudo gli occhi mi pare ancora di rivedere mia moglie, quando l’ho conosciuta, con i capelli corvini e gli occhi chiari. La mente è una fotografia che non scolorisce.  Ines aveva diciott’anni, quando la vidi la prima volta, con la sorella stava lavando i panni al lavatoio, la lavatrice, probabilmente non l’avevano ancora inventata. Ci sposammo tre anni più tardi, un matrimonio alla buona con il rinfresco a base di pane, salame e lambrusco. “Papà la cena è pronta”, la voce di mio figlio, che mi chiama dalla cucina, mi riporta alla realtà. Mangio quasi controvoglia, questa sera c’è un’atmosfera strana, di smobilitazione, in casa ci sono un sacco di valige, mio figlio, sua moglie e la mia nipotina Fabrizia partono per il mare, io invece andrò al ricovero. Questa parola mi fa paura, d’accordo è solo per un mese, per permettere ai miei cari di andare in vacanza, eppure non posso evitare di sentirmi triste. Sarò ingiusto ma mi sento accantonato, un inutile peso di cui disfarsi. Meglio non pensarci, ripeto, non sono obiettivo, mio figlio è un bravo ragazzo, quando Ines è morta mi è stato vicinissimo, dopo un poco di tempo si è trasferito da me con la sua famiglia, “così non ti sentirai solo”, ha detto “del resto la casa è tanto grande”. Ne sono stato felice, vivevo uno strano senso d’inutilità, mi pareva di non avere più uno scopo. Con loro sono stato felice, soprattutto per via di Fabrizia. Io e la mia nipotina ci adoriamo, ovviamente lei è una piccola peste ma le piacciono le favole che le racconto anche se sono diverse dalle solite. Le parlo di Bertoldo Bertoldino e Caccasenno e delle loro buffe avventure. Sono storie di contadini, dalle scarpe grosse e il cervello fino, probabilmente un po’ fuori moda, ma a lei piacciono un sacco, ride e si diverte, in quei momenti mi sento tanto leggero i pensieri svaniscono come neve al sole e anch’io ritorno un poco bambino. Ovviamente combiniamo anche non pochi disastri come quando abbiamo fatto la battaglia con le barchette di carta nella vasca da bagno, ci siamo inzuppati e abbiamo schizzato acqua dappertutto. Mia nuora mi ha ripreso duramente, ci sono rimasto male e ho messo anche un po’ il muso ma in fondo aveva ragione, del resto è lei che pulisce e bisogna avere rispetto del suo lavoro. Domani partiranno per il mare, non vedrò Fabrizia per un mese intero, al pensiero non riesco a prendere sonno, mi giro e mi rigiro nel letto. Mi spiace lasciare la mia casa, non l’avevo mai fatto ma mio figlio ha tanto insistito, “non ci fidiamo a lasciarti solo” mi ha detto, avrei voluto ribattere che prima ci stavo benissimo ma sua moglie ha aggiunto che in casa ci sono tante cose preziose (la sua argenteria, i quadri) e che non sarebbe prudente lasciare una persona anziana come guardiano.Le parole mi sono morte in gola, con mia nuora è inutile insistere, è una donna con le idee molto chiare, in un certo senso inflessibile. Mio figlio a volte mi sembra ne sia un po’ succube, tant’è che adesso sto qui (sono convinto che l’idea del ricovero sia partita da lei), con la valigia in un angolo per l’ultima notte, domani sarò a “Villa Serena” già il nome è tutto un programma.

E’ trascorsa una settimana da che sono al ricovero, non mi trovo malissimo ma non vedo l’ora che finisca. “Vedrai papà qui farai tante amicizie potrai giocare a bocce, ci sono tante persone della tua età”, mi ha detto mio figlio, prima di salutarmi. Io ho sorriso, facendo buon viso e cattivo gioco. Fa un bel caldo, di giocare a bocce non se ne parla nemmeno, cuocerei, piuttosto rimango nel parco è molto ben curato ci sono grandi alberi. Ho preso dei libri in biblioteca e conto di leggere un po’. Federica l’ho sentita ieri per telefono mi ha confermato che si sta divertendo un sacco e ha quasi imparato a nuotare, l’ho sentita distratta, in qualche modo lontana, ne ho una gran nostalgia. Ieri ho conosciuto una signora, si chiama Agnese Bellentani e vive a Villa Serena ormai da un anno, “mio figlio mi ha parcheggiata qui definitivamente” si è sfogata con me “adesso che i miei nipoti sono cresciuti non servo più nemmeno come balia” ha detto amara. E’ ancora una bella signora, vitale, senza peli sulla lingua, questa sera ci ritroviamo in salone per una partita a carte, con lei vicino non riesco a leggere ma almeno mi passa un po’ il tempo ci siamo raccontati un sacco di cose tanto che mi sembra di conoscerla da una vita. Un mese è passato in un lampo, ieri mio figlio e Federica sono venuti a trovarmi, sono scuri per il sole, pensavo di tornare a casa con loro ma mio figlio mi ha chiesto se non mi spiaceva fermarmi ancora qualche tempo “La casa è sottosopra, papà”, mi ha spiegato “ci sono gli imbianchini, stiamo rinfrescando un po’ le stanze, sarebbe meglio tu tornassi quando tutto è a posto” ha concluso, senza guardarmi negli occhi, la cosa ovviamente mi ha lasciato un po’ perplesso. “Sono dei maestri nel prenderci in giro” mi ha detto Agnese, la sera. Questo è il suo carattere, non sa mediare e quando dice le cose non tenta nemmeno di indorare la pillola. “Hanno fatto così anche con me”, mi ha spiegato, “mamma ti veniamo a prendere tra quindici giorni, poi il mese prossimo, poi dopo Natale, dicevano, morale questa è la mia casa” ha detto senza perifrasi. “Purtroppo mi sono lasciata convincere a vendere la mia casetta e non saprei dove andare, i soldi li ho dati a loro per comperare una villetta hai visto che bell’affare?” ha sorriso sarcastica. “Tu dammi retta non cedere, la casa è tua, hai la  pensione, puoi tornare quando ti pare, non farti scrupoli”, mi ha consigliato. Ho ribattuto che le cose non stanno così, le ho spiegato che mio figlio è un bravo ragazzo e che paga una discreta retta pur di tenermi qui ‘provvisoriamente’. “Sarà”, lei ha sentenziato “però non badano a cifre solo quando si tratta di toglierci di mezzo” è sbottata. Mi piace stare con Agnese , devo dire che c’è un discreto feeling tra noi ma non la sopporto quando fa certi discorsi. “Scommetti che poi inventeranno qualche altra storia” mi ha provocato “difficilmente ti riprenderanno in casa, vedrai!” L’ho salutata e me ne sono andato, non avevo voglia di litigare e se fossi rimasto sarebbe stato inevitabile. Capisco che lei abbia due figli carogne e che sia ferita dal loro comportamento, ma da questo a generalizzare ne corre! Sono passati molti giorni, con Agnese va tutto bene, non abbiamo più affrontato l’argomento, nonostante mio figlio ‘giochi’ a rimandare il mio ritorno a casa, adesso che qualche dubbio inizio ad averlo anch’io, evita di rincarare la dose. Dal canto mio ho smesso di preparare la valigia tutte le volte che vengono a trovarmi , per il momento pare non abbiano intenzione di riportarmi a casa, ogni volta si profondono in mille scuse trovano sempre qualche giustificazione ma evitano, ormai l’ho capito, di guardarmi negli occhi. Oggi, dopo venti giorni che non li vedo, finalmente mi faranno visita, ci sarà anche Fabrizia, la bambina in effetti è l’unica che mi pare soffra la mia mancanza, andiamo fuori a pranzo. Farò loro un bel discorsetto, l’ho provato tra me, ho cambiato le parole, mi sento come uno scolaretto che deve passare un esame ma poi mi dico che sono un uomo, ho fatto la guerra e non retrocederò in questo caso. Il ristorante è carino, ha i tavoli in massello, le tovaglie a scacchi rossi che mettono allegria. Mangio di gusto e al dolce affronto l’argomento. “la settimana prossima torno a casa” esordisco. “Veramente papà”, mia nuora interviene “sarebbe il caso lei rimandasse ancora un attimino, stiamo facendo levigare il parquet nelle camere, c’è polvere e confusione, la sua camera è sottosopra”. Sospiro poi parto deciso “Invece tornerò e al più presto” comincio ma mio figlio mi stoppa. “Papà mia moglie ha ottenuto una supplenza, lavorerà tutto l’anno, non può materialmente prendersi cura di te” lo lascio parlare, voglio vedere fin dove vuole arrivare “la bambina adesso va a scuola , non torna che alle sedici e trenta e noi siamo fuori di casa”, prosegue. Lo fermo, mettendo la mia mano sopra la sua. “Non c’è problema”, spiego, a voce ferma, “anche perché non sarò solo, ho deciso di sposare Agnese Bellentani, una signora che ho conosciuto al ricovero, non mi resta che fare i documenti”. “Che cosa?” dicono in coro, mi sembrano davvero ‘toccati’ dal discorsetto. “Mi sposo” sillabo convinto “e porto la mia signora a casa”. “Non se ne parla nemmeno” esplode mia nuora, sembra un fiume in piena, ha gli occhi che fiammeggiano. “Adesso è la nostra casa abbiamo speso un sacco di soldi per metterla a posto, ci mancherebbe altro!” sibila, cercando l’appoggio di mio figlio. “Ma io non ho nessuna intenzione di cacciarvi via!” spiego serafico, in villetta c’è posto per tutti, Agnese ed io saremo molto contenti di avervi con noi”. “Papà dico ma sei impazzito?” mio figlio non riesce a raccappezzarsi “alla tua età poi, e chi sarebbe questa signora?” annaspa. “Una donna per bene, vedova come me, ci siamo conosciuti, trovati, abbiamo deciso di trascorrere gli ultimi anni insieme, tutto qui.” “Ma non è possibile” mia nuora non riesce a rassegnarsi. “Davvero nonno torni a casa?” chiede Fabrizia con gli occhi che le brillano. “Ci puoi contare tesoro” la rassicuro   Siamo al caffè, tra poco tornerò a Villa Serena, per una volta non vedo l’ora di arrivarci e poi devo parlare ad Agnese. L’idea di sposarci non è niente male, sono convinto che la troverà notevole, come ho già detto ci intendiamo a meraviglia. Certo non ho più vent’anni ma se mi sarà concesso cercherò di vivere gli anni che mi restano nel modo migliore, insieme alla donna che amo.

 

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